Il personaggio
Rudi alla meta
Voeller si racconta e spiega quali traguardi vuole conquistare
di Pino Cerboni
In altre squadre forse avrei potuto vincere di più, ma non mi sono mai pentito di aver scelto Roma. Nessun'altra città può darti questo sole, questo clima, questo fascino.
Si sussurra in giro che non sia affatto tedesco, bensì «romano de Roma». Di Testaccio, per la precisione. In realtà non è vero, Rudi Voeller è proprio tedesco di Germania, ma sarà per la facilità con cui ha capito la filosofia di noi romani o l'immediatezza con la quale è riuscito a fare suo un modo di vivere tanto particolare che non conosceva, che il soprannome «Rudi de noantri» gli calza a pennello. Si potrebbero scrivere pagine intere per descrivere un personaggio così ricco di spunti. In campo e fuori Rudi, il «tedesco che vola», possiede una carica umana incredibile.
Emana un carisma eccezionale, eppure non fa nulla per fari o pesare. Anzi, spesso e volentieri è più modesto di quanto in verità dovrebbe essere. Sembrano lontani anniluce i tempi in cui, confuso e amareggiato, meditava di fare le valige e tornare a casa. Colpa di un infortunio e di una parte di critici ottusi che lo definivano un bidone, Rudi ha stentato nel suo primo anno in giallorosso ad imporre la sua classe. Come non ricordare le sue ansie, la sua rabbia? Non riusciva a parlare bene l'italiano, non capiva la fretta che circonda il nostro calcio e soffriva. Ma come, chiedeva, sono il centravanti titolare della nazionale tedesca e vengo messo in discussione? Avesse avuto un carattere debole, sarebbe rimasto schiacciato dalla pressione. Invece, grazie anche al presidente Viola che ha sempre creduto in lui, ha pian piano ritrovato la fiducia, oltre che la condizione fisica, e finalmente ha potuto dimostrare di che pasta fosse fatto.
«Già, la rabbia più grande era non riuscire a farmi capire - sostiene l'attaccante giallorosso - sapevo che era solo perché non stavo bene, ma tutti avevano gli occhi puntati su di me e ingigantivano ogni mia mossa. Sono stati momenti terribili, lo ammetto, ma non vale neanche più la pena parlarne».
Ora non lo discute più nessuno, ci mancherebbe altro. E del resto come si potrebbe? Non solo segna gol importanti, ma è anche diventato il trascinatore della squadra, colui cioè che si mette in prima fila a suonare la carica. Erano anni che la Roma non aveva un giocatore così. Un uomo cioè che sapesse accendere l'entusiasmo della gente non solo per i virtuosismi tecnici, ma anche per le doti di condottiero. Basta buttare una palla là davanti che poi ci pensa il tedesco, questo è il pensiero dei tifosi. Semplicistico, magari anche riduttivo, ma quanto mai appropriato.
Rudi è consapevole di questo ruolo, ma intelligentemente non lo fa pesare. Non è uno sbruffone, capisce che è pur sempre uno straniero e certi atteggiamenti potrebbero anche essere equivocati. La storia del calcio italiano è piena di casi in cui lo straniero è stato boicottato. Con lui, c'è da giurarci, non accadrà mai. Anche perché è sempre il primo a riconoscere i propri sbagli, a fare autocritica, a smorzare i toni trionfalistici che spesso accompagnano le sue imprese. Un leader, insomma, capace di gestire al meglio la sua immagine.
In molti gli hanno chiesto perché un calciatore del suo valore abbia deciso di restare alla Roma. In un club, cioè, che attualmente è lontanto dai vertici calcistici. Rudi ha sempre sorriso nel rispondere a questa domanda, cercando di spiegare all'interlocutore che nella vita contano anche altre cose. La qualità della vita stessa, il piacere di muoversi in un ambiente disintossicato dai veleni, la gioia di alzare gli occhi e guardare... la storia. Una scelta intelligente, insomma, che dà la misura dell'uomo. Non è nemmeno escluso che rimarrà qui da noi, una volta (speriamo il più tardi possibile owiamente) che deciderà di attaccare le scarpe al fatidico chiodo. Roma l'ha stregato sarà difficile per lui abbandonarla.
«A volte bisogna anche saper distinguere - confessa -. Certo, in altre'squadre avrei potuto anche vincere di più, ma non m'importa. Ho riflettuto molto e alla fine ho deciso che sta bene così, che sono contento di essere rimasto in una città affascinante e ricca di cultura, di storia. La Germania? E la mia Patria, ma il sole di Roma non è facile cancellarlo dalla mente».
Lo spessore umano di Rudi si evidenzia in qualsiasi circostanza. Se c'è un compagno in difficoltà è il primo ad accorrere in aiuto, se bisogna assumersi una responsabilità è l'ultimo a fare un passo indietro. Per non parlare del rapporto con la stampa: salvo rare eccezioni non ha mai declinato l'invito a concedersi a taccuini o microfoni. E non per cercare una passerella, a cui peraltro non tiene, ma perché capisce che il suo ruolo di uomo pubblico gli impone certi doveri. Vien da ridere a pensare che certe «mezze figure nostrane», fanno le bizze, si mostrano riottosi, mentre lui che è campione del mondo trova sempre il tempo. E per di più non dice mai una banalità, non si rifugia dietro le classiche frasi fatte. No, racconta sempre la verità anche se questa può sminuire una sua impresa. Come quando dopo i tre gol segnati al Bordeaux in Coppa Uefa, nel dopo partita riservò parole consolatorie al portiere awersario e si scusò praticamente per la fortuna avuta.
Sembra difficile crederlo, ma è così. Un giocatore della sua fama, del suo calibro potrebbe «campare di prepotenza», invece esibisce sempre l'umiltà che solo i grandi campioni posseggono. I tifosi lo amno in maniera viscerale. Gli hanno dedicato un motivetto tutto per lui che viene cantato anche quando Rudi non riesce a segnare.
Sì, perché lui s'impegna sempre allo spasimo, non tira mai indietro la gamba. A Bordeaux, sul risultato di 7 a 0 per la Roma, a pochi minuti dal fischio finale, lui si lanciava ancora fra le gambe dei difensori awersari in cerca del pallone. Questo è Rudi, il «tedesco volante», «Rudi de noantri».
Tratto da La Roma marzo 1991
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